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Energy Lockdown

Nella fortuna di avere un lavoro stabile inperiodi difficili una riflessione su cosa perdiamo nel non lavorare vicini: forse proprio tutto quello che del lavoro fa parte, ma che lavoro non è.



Ed eccoci di nuovo in lockdown.

Meglio di marzo, come a marzo, peggio di marzo? Non lo so.

Io conosco solo la mia frustrazione, che è come quella di marzo, non peggio, per ora. Io sono comunque una super privilegiata: non ho perso il lavoro, non ho fatto un giorno di CIGS/CIG/permesso non retribuito/congedo, il mio stipendio è sempre arrivato pieno e puntuale tutti i mesi, lavoro da casa o dall’ufficio in piena sicurezza.

Lavoro per un’azienda che fornisce un bene essenziale, da qui l’onere e la fortuna della situazione di cui sopra.

La mia famiglia ora forse sa un po’ di più in cosa consiste il mio lavoro, le mie figlie giocano a fare le call con i peluches e le bambole e il mio anziano papà non capisce come possano pagarmi lo stipendio pieno lavorando da casa. Per lui è un magico mistero e, nello stesso tempo, una follia. Ho deciso, dopo qualche spiegazione, che va bene così. Magia sia.

Il mio lavoro è fatto di molto ascolto e di incontri. Da febbraio, virtuali.

Da 8 mesi assumo persone che non ho mai incontrato, a cui non ho mai stretto la mano, che a volte nemmeno hanno visto il loro posto di lavoro fisico. Utopistico fino a qualche mese fa. Ora realtà. Per me non è difficile, ma è frustrante. E se non è difficile assumere qualcuno “da remoto” è un po’ più difficile inserirlo, fargli conoscere i colleghi, fargli conoscere l’azienda, fargliela vivere.

Già perché con la pandemia non ho perso il lavoro, non ho perso i colleghi, ma ho perso il polso del loro mood. Non li vedo in corridoio, non mi fermano in mensa mentre mangio, non mi interrompono 100 volte passando dal mio ufficio, non li vedo più, non mi offrono più il caffè, non posso più offrire la mia sedia per ascoltarli meglio.

Mi manca il loro non prendere appuntamento per parlarmi o le nostro chiacchierate “casuali”.

A tutti manca la socialità, anche a me. Ma alle mie antenne da HR mancano i suoni e le chiacchiere del corridoio, gli sguardi, le parole dette e non dette, le confidenze, le mani sulle spalle.

Per la prima volta mi mancano tutte quelle che giudicavo “noie” o “rotture” e devo riconoscere … sono parte importantissima del mio lavoro; per la prima volta nella mia carriera professionale non so rispondere alla domanda del mio Direttore HR: “voglio sapere e capire il mood, cosa dice il corridoio” sul tal tema.

Sono impreparata. Ho dovuto fare un po’ di chiamate, ma alla fine so di aver raccolto molto meno del previsto. Molto meno. Insomma, da casa riesco a fare tutto quello che il mio lavoro mi richiede di fare, anche di più, ma non tutto.

Dunque, mood significa umore. L’umore dei miei colleghi non lo conosco più, non in tempo reale e non con la stessa profondità. Non posso cogliere le sfumature, che spesso fanno la differenza.

Non sono questi i problemi in questo periodo forse, ma sono i momenti come questo che fanno riflettere e ripensare a volte i propri mestieri e i propri obiettivi. Io ci sono, forza, ce la faremo.


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2020-11-15




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Elisa Zappa

HR Business Partner